Lele Chinaglia

Caro Piero, ho letto la tua lettera rivolta a Mario (Di Gioia)  e mi sono nate alcune riflessioni che vorrei  condividere con te e con tutti gli amici. Ci conosciamo da moltissimi anni personalmente, e come tu ben sai ho anch’io per molti anni lavorato come DJ, vivendo forse la parte più bella del boom delle discoteche negli anni 80 e 90. Oggi, anzi già da una decina di anni come sai vivo il mondo DJ vedendolo da un altro punto di vista, quello legato all’audio professionale, collaborando per il settore DJ con una azienda italiana di prima importanza. Mi sono spesso trovato per lavoro a paragonarmi con altri miei colleghi europei in dei meeting legati allo sviluppo o al lancio di nuovi prodotti, e l’impressione che ho riportato è quella che, a differenza di altri paesi, viviamo in un mondo a due velocità.

Da una parte viaggiamo alla velocità della luce, con innovazioni tecnologiche sbalorditive, impensabili anche solo dieci anni fa, e dall’altra invece ci muoviamo con la lentezza dei dinosauri.  Siamo troppo spesso legati a consuetudini, modi di vedere e di ragionare che ci imprigionano e che ci condizionano pesantemente.

Oggi i DJ sono troppo presi da facebook, twitter, (già myspace è down), il booking, il conference, le PR, e la musica?  Si intendo la musica come parte artistica, come espressione di quello che il DJ con il suo lavoro vuole creare che fine ha fatto?   Ed  ancora,  siamo troppo presi con il marketing per guardare a noi ( mi sento ancora DJ anche se non faccio quasi più serate) per capire che la musica è qualcosa di globale, che passa ogni confine o barriera. Penso ai nostri vicini svizzeri o spagnoli che organizzano bellissimi festival – Sonar (ndr) – in cui all’interno dello stesso contenitore puoi trovare concerti di band famosissime a fianco a esibizioni etniche, o ancora concerti di musica classica e DJ Set di altissimo livello, il tutto senza alcuna limitazione o etichetta. Quando mi capita per lavoro di partecipare ad un workshop ribadisco sempre, e so che lo fai anche tu, che la tecnologia serve solo come strumento per esaltare le possibilità di una parte artistica del lavoro del DJ.

 Con questo mi riallaccio al mio tema principale che mi ha spinto a scriverti, condivido il fatto che la collaborazione con la SIAE di fatto sia impari nonostante gli sforzi fatti da pochi volenterosi che hanno dedicato il loro tempo, so che fai parte di questo sparuto gruppo di persone, e che ti spendi anche tu con mille energie per  questa causa,  ma il problema sta proprio in questo, troppo poche persone hanno ad oggi dato il loro aiuto e si sentono parte di questa categoria. Abbiamo bisogno di una federazione, che raccolga al suo interno tutte le associazioni di categoria, e che venga sostenuta da tutti i DJ professionisti o da coloro che credono in questa categoria. Dobbiamo rimboccarci le maniche e capire che se rimaniamo uno sparuto gruppo di persone non otterremo mai nulla che possa permetterci di dialogare con le istituzioni o essere riconosciuti come categoria di lavoro.

Conosco Mario di Gioia personalmente ed in lui vedo un grande carisma unito ad una  grande forza di volontà,  è una persona che è capace di relazionarsi con le istituzioni capace di arrivare ovunque;  ma cosa può fare Mario  da solo se siamo tutti intenti a scaricare l’ultima app sull’ i-pad ?   Il senso della mia lettera è quello di portare all’attenzione di tutti che la figura del DJ  professionista oggi deve pensare più alla sostanza e non solo alla forma,  tramite la valorizzazione della parte artistica da una parte e la crescita della figura professionale dall’altra. Per fare questo c’è bisogno della collaborazione di tutti, nessuno escluso.

   Gabriele Chinaglia

lelechinaglia@libero.it

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